ISCHIA (Napoli)
Ischia è un’isola del Mar Tirreno, posta all’estremità settentrionale del golfo di Napoli e a poca distanza dalle isole di Procida e Vivara. Appartiene al gruppo delle isole flegree.
Il rilievo più elevato è rappresentato dal monte Epomeo, alto 787 metri e situato nel centro dell’isola. Quest’ultimo non è un vulcano ma il risultato del sollevamento di rocce vulcaniche avvenuto negli ultimi 30.000 anni. L’attività vulcanica ad Ischia è stata generalmente caratterizzata da eruzioni non molto consistenti e a grande distanza di tempo. Dopo le eruzioni in epoca greca e romana, l’ultima è avvenuta nel 1301 nel settore orientale dell’isola con una breve colata (Arso) giunta fino al mare.
Storia
L’isola d’Ischia era abitata fin dal Neolitico, come dimostrano i vari reperti ritrovati ad esempio sulle alture di Punta Imperatore, nella frazione di Panza, nella zona S-O dell’isola.
Il ritrovamento fortuito di muri a secco, avvenuto nel 1989 a seguito di uno smottamento, in località Punta Chiarito,avvenuto sempre nella frazione di Panza, ha dato l’avvio tra il 1993 ed il 1995 ai lavori di scavo che hanno permesso il ritrovamento di una fattoria greca tenuta da agricoltori benestanti, come dimostra la buona fattura dei vasi che sono stati rinvenuti ed ha permesso di anticipare lo sbarco dei primi coloni greci di circa venti anni rispetto all’originaria ipotesi, cioè intorno al 790, 780 a.C. Inizialmente, si riteneva, infatti, che lo sbarco fosse avvenuto proprio a Monte Vico, oggi nel comune di Lacco Ameno, dove i coloni arrivati da Eretria e Chalkis nell’ VIII secolo a.C., avrebbero stabilito un emporio per il commercio con gli Etruschi della terraferma.
Grazie agli scavi del 1993, si è capito oggi che in realtà, i primi coloni si stabilirono a S-O dell’isola, sulle alture di Punta Chiarito,a Panza, frazione del comune di Forio. La baia di Sorgeto, che si trova ai piedi di Punta Chiarito, offre un riparo ideale per le navi, soprattutto dai venti di scirocco, un requisito importante per i Greci, nella scelta di un approdo. Tale requisito, infatti, non è presente nella zona di Monte Vico e costituiva per gli studiosi una non facilmente spiegabile anomalia.
A vent’anni circa dall’originario sbarco, colonizzata buona parte dell’isola, viene fondata la colonia di Pithecusa, il cui centro principale sarà, però, sulle alture di Monte Vico, nella zona nord dell’isola, prospiciente il continente, in modo da avere un più rapido scambio con la terraferma. Con il suo porto la colonia fece fortuna grazie al commercio del ferro con il resto dell’Italia; nel periodo di massimo splendore contava circa 10.000 abitanti.
Promontorio di S. Angelo
Nel 1953, nella necropoli di San Montano a Lacco Ameno, l’archeologo tedesco Giorgio Buchner ritrovò la Coppa di Nestore, risalente al 725 a.C. circa. Costituisce il più antico esempio pervenutoci di poesia scritta in lingua greca. “ Io sono la bella coppa di Nestore, chi berrà da questa coppa subito lo prenderà il desiderio di Afrodite dalla bella corona “
Nel gennaio del 1301 una terribile eruzione squassa l’isola che abbandonata da molti isolani si ripopola solo nel 1305.
Gli Aragonesi
Alfonso V di Aragona approda a Ischia nel 1423, su invito di Michele Cossa, cittadino d’Ischia e IV signore di Procida e occupato il Castello Aragonese vi si stabilisce in attesa di poter conquistare Napoli. Nel 1441, partendo da Ischia, assedia Napoli dove può trionfalmente entrare il 26 febbraio del 1443. Per ricompensare gli isolani dell’appoggio fornito, il sovrano concede ampi favori all’isola. Innamorato dell’isola, ne affida il governo alla sua favorita Lucrezia d’Alagni al cui fianco scorrazza per i boschi di Campotese a Panza e di Piano Liguori a Ischia trasformati in sue riserve di caccia
Il pirata Barbarossa
Nel 1535 Carlo V era sbarcato a Napoli per celebrare il trionfo di Alfonso d’Avalos che sotto le mura di Tunisi aveva sconfitto 150mila turchi comandati dal feroce Barbarossa. Questi per vendicarsi dell’affronto subito un decennio prima, il 22 giugno 1544, giunto nella baia della Scannella devasta il casale di Panza e da qui Forio e altri casali dell’isola. Circa duemila furono gli isolani uccisi o deportati come schiavi.
Il Castello Aragonese
Una fortificazione che sorge su un isolotto di roccia trachitica posto sul versante orientale dell’isola d’Ischia, collegato per mezzo di un ponte in muratura lungo 220 m all’antico Borgo di Celsa, oggi conosciuto come Ischia Ponte. E L’isolotto su cui è stato edificato il castello deriva da un’eruzione sinattica avvenuta oltre 300.000 anni fa. Geologicamente è una bolla di magma che si è andata consolidando nel corso di fenomeni eruttivi e viene definita cupola di ristagno.
La costruzione della prima fortezza risale al 474 a.C. sotto il nome di Castrum Gironis, ovvero castello di Girone, in onore del suo fondatore. In quell’anno, infatti, il greco Gerone I tiranno di Siracusa prestò aiuto con la propria flotta ai Cumani nella guerra contro i Tirreni, contribuendo alla loro sconfitta al largo delle acque di Lacco Ameno. Debitori di tale intervento, i Cumani decisero allora di ricompensare l’alleato cedendogli l’intera isola.
La fortezza venne poi occupata dai Partenopei, ma nel 315 a.C. i Romani riuscirono a strappar loro il controllo dell’isola e vi fondarono la colonia di Aenaria. Il Castello venne utilizzato come fortino difensivo e vi furono edificate anche alcune abitazioni ed alte torri per sorvegliare il movimento delle navi nemiche.
Nei secoli successivi la fortezza di Gerone fu radicalmente trasformata, in modo da fungere da rifugio sicuro per la popolazione contro i saccheggi di Visigoti, Vandali, Ostrogoti, Arabi, Normanni (1134-1194), Svevi (1194-1265) e Angioini (1265-1282). L’eruzione del Monte Trippodi del 1301 fornì un notevole incentivo allo sviluppo dell’insediamento urbano: distrutta la città di Geronda, che sorgeva nella zona in cui attualmente vegeta la pineta, gli Ischitani si rifugiarono sulla rocca che garantiva maggiore tranquillità e sicurezza, dando vita ad una vera e propria cittadina.
Chiesa dell’Immacolata (XVIII sec.).
La sua cupola domina l’intero castello e offre una magnifica vista del borgo di Ischia Ponte, anticamente chiamato borgo di Celsa per la presenza di una piantagione di gelsi nei terreni dei frati Agostiniani. Essi avevano importato sull’isola l’allevamento intensivo del baco da seta (il cui nutrimento, il gelso, è appunto chiamato morus celsa). L’attività s’interruppe di colpo nel 1809, quando Gioacchino Murat emanò un decreto di soppressione degli ordini religiosi per impossessarsi delle enormi ricchezze che i religiosi avevano accumulato nei secoli nel regno di Napoli. La chiesa fu costruita a partire dal 1737 al posto di una precedente cappella dedicata a san Francesco, per volere della badessa Lanfreschi dell’attiguo convento delle Clarisse. L’enorme impegno economico impedì alle suore di portare a termine la costruzione e, nonostante fosse stata venduta persino l’argenteria del convento per far fronte alle spese, la facciata e gli interni della chiesa non sono rifiniti e le pareti sono completamente bianche. La pianta della chiesa è a croce greca con l’aggiunta di un presbiterio e di un pronao d’ingresso. Su un tamburo circolare con 8 finestroni, insiste l’imponente cupola che domina l’intero complesso di edifici. Dopo il restauro eseguito nel 1980, la chiesa viene utilizzata per mostre temporanee di pittura e scultura.
Convento delle Clarisse
Fondato nel 1575 da Beatrice Quadra, vedova D’Avalos, che si insediò con quaranta suore provenienti dal convento di San Nicola che si trovava sul monte Epomeo. Le suore provenivano da famiglie nobili che le destinavano in genere alla vita claustrale già dall’infanzia per evitare la frammentazione delle eredità. Il convento fu chiuso nel 1810 in seguito alla già citata legge di secolarizzazione emanata da Murat. Un’ala del convento oggi ospita un albergo, le cui stanze sono le celle di un tempo
I sedili di pietra all’interno del Cimitero delle Clarisse Foto
Cimitero delle Clarisse
L’annesso cimitero sotterraneo (XVI sec.) presenta, a ridosso delle pareti, sedili in pietra su cui venivano adagiati, in posizione seduta e a tronco eretto, i corpi senza vita delle suore affinché mummificassero. La carne si decomponeva lentamente e i liquidi venivano raccolti in appositi vasi situati sotto i sedili, finché gli scheletri non venivano raccolti in un ossario. Ogni giorno le monache vi si recavano in preghiera e meditavano sulla morte e sulla durata effimera della vita terrena.